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Recensione di: Il principe del deserto

22/12/2011 | Recensioni |
Recensione di: Il principe del deserto

Jean-Jacques Annaud, regista francese abile nello scavare nelle memorie storiche di un passato “oscuro” (Il nome della rosa, 1986) o politicamente condannabile (Sette anni in Tibet, 1997, Il nemico alle porte, 2001), con Il principe del deserto, perde parte delle caratteristiche fondamentali del suo cinema, sofisticato e riflessivo, restituendo sullo schermo personaggi la cui consistenza viene letteralmente schiacciata dalla messa in scena sontuosa. Siamo in Arabia all’inizio del ventesimo secolo. Due sultani si incontrano sul campo di battaglia, circondati dai corpi dei loro combattenti. Il vincitore Nesib, emiro di Hobeika (interpretato da Antonio Banderas), detta le condizioni di pace al suo rivale Amar, sultano di Salmaah (Mark Strong). La cosiddetta Striscia Gialla, denominata la “terra di nessuno”, costituisce un lembo non reclamabile di terra, a suggellamento di un patto non scritto fra i due sultani: entrambi, infatti, non dovranno avanzare pretese o diritti di possesso su questo perimetro. Secondo il costume tribale Nesib “tiene in ostaggio”, adottandoli, i due figli maschi di Amar, Saleeh (Akin Gazi) e Auda (Tahar Rahim) a garanzia del trattato. Ma diversi anni dopo, il primogenito del sultano sconfitto diventa un guerriero desideroso di fuggire dal reame di Nesib per tornare nella terra del padre, mentre ad Auda, il figlio più piccolo, interessano solo i libri e la ricerca della conoscenza. Ma ben presto a minare la già instabile tregua fra i due emiri, arriva un texano (Corey Johnson), che informa Nesib di un’importante scoperta: la Striscia Gialla custodisce in sé il più prezioso degli ori, il petrolio. Black Gold è giustappunto il titolo originale del film che, in qualche modo, rimarca il fatto che il vero protagonista del film è proprio il petrolio, fonte “esauribile” di rendimento economico ma interminabile giacimento di dispute ed avidità da parte di chi ne scopre i più beceri benefici. Se scenografia, costumi e ambientazioni sono curate nei minimi dettagli, la storia non lo è altrettanto, e i dialoghi deludenti e poco consistenti ci fanno uscire dalla sala con un senso di nostalgia per pellicole capolavoro come Lawrence d'Arabia.

Serena Guidoni 
 

 


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